Il testo e l’immagine che seguono integrano e arricchiscono anche con notizie curiose la scheda che correda l’opera dallo stesso titolo esposta alla mostra “Dante in arte. Interpretazioni dantesche contemporanee: viaggio grafico nell’oltretomba” (Centro Trevi - TREVILAB, Bolzano, 30.09-28.10.2021). L'approfondimento è fruibile dalla mostra attraverso il codice QR.
Inseparabili amici e compagni durante la guerra di Troia, Ulisse il re di Itaca, geniale ideatore del cavallo di legno che, introdotto nella città e pieno di uomini armati, permise di prenderla e Diomede, re di Argo protetto dalla dea Atena, fortissimo e coraggioso combattente, sono puniti insieme nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio come consiglieri fraudolenti. La loro pena è quella di essere nascosti dalle fiamme alla vista degli altri. In realtà compongono un’unica fiamma con due lingue di fuoco, una per ciascuno. Virgilio spiega che la loro colpa maggiore consiste nell’inganno del cavallo e nell’aver rubato il Palladio, la statua che rendeva invincibile la città di Troia ed interpella i dannati. È Ulisse che risponde che, dopo il suo ritorno ad Itaca, né l’amore della famiglia né nessun altro legame aveva potuto trattenerlo dall’affrontare ancora una volta il mare con pochi compagni per arrivare fino allo stretto di Gibilterra (le colonne di Ercole) e proseguire nel tentativo di visitare l’emisfero australe. Per incitare i compagni pronunciò la famosa frase (“fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”), un inno al desiderio di conoscenza dell’uomo alla base dello sviluppo della nostra civiltà. Prolungarono quindi il viaggio, ma quando apparve loro una montagna (il Purgatorio) sorse dal mare una tempesta che inabissò la nave e tutti trovarono la morte.
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