Nel vasto repertorio dei temi artistici, l’iconografia dantesca occupa un posto significativo. Trasversale, interdisciplinare, sovranazionale, l’incontro tra l’arte e la figura del Sommo Poeta ha trovato nel corso dei secoli espressioni originali e a volte impreviste: da Giotto a Botticelli, da Signorelli a Raffaello, da Bronzino a Federico Zuccari, da Füssli a William Blake, da Delacroix a Rodin, per arrivare, ancora nel Novecento, a Picasso, Fontana, Dalì e perfino Robert Rauschenberg, che sul finire degli anni Cinquanta dedicava all’Inferno una serie di disegni informali.
Anche oggi – e questo anno ricco di progetti e iniziative per le celebrazioni dantesche lo dimostra ampiamente – gli artisti continuano a cercare un confronto con il padre della lingua e della letteratura italiane, e con un personaggio che, al di fuori di ogni anacronistica retorica, incarna meglio di qualunque altro la dimensione identitaria del nostro Paese, tanto da essersi guadagnato di recente, come noto, una giornata tutta per sé nel calendario nazionale.
Il mito populistico di Dante profeta della patria, maturato nell’Ottocento, va stretto tuttavia agli esegeti contemporanei, che preferiscono guardare al poeta come a colui che rimase fedele al proprio libero pensiero e sfuggì ai dogmi della sua epoca, che scelse di “sporcarsi le mani” con la vita e il mondo quale propria residenza, che cercò sempre e comunque la comprensione del lettore, usando di volta in volta il registro della convivialità, del sarcasmo, della fantasia visionaria o del ragionamento scientifico. Questo aspetto di audace indagatore dell’animo umano e di “divulgatore” democratico del sapere, così distante dall’imperturbabile foggia dell’intellettuale, spiega la presenza quotidiana di Dante nelle nostre vite, la sua ripetuta assunzione nell’ambito della comunicazione e della pubblicità, la sua frequente apparizione negli affollati quartieri del mondo social, che, avidi di simboli iconici, sembrano ultimamente indicarlo come riferimento esemplare per la costruzione di un nuovo umanesimo, da perseguire in un momento storico difficile e senza certezze come quello che stiamo attraversando. Con Dante, del resto, crescono ancora oggi i nostri figli in età scolastica, che si affezionano al poeta dal “naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli [...] e sempre nella faccia malinconico e pensoso”, come lo descrisse Boccaccio, si appassionano alla sua natura in fin dei conti fragile e impetuosa ed entrano in empatia con i protagonisti delle sue fantastiche rievocazioni, specialmente quelli “infernali”: dagli sciagurati Paolo e Francesca all’“eccessivo” Ulisse, a tutte le altre dolenti vittime delle proprie colpe e della legge del contrappasso.
Ma è soprattutto l’arte, dicevamo, a rinsaldare il legame tra Dante e il nostro tempo e a interrogarsi sull’eredità del suo messaggio, vagliandone le infinite ripercussioni. Lo stesso Alighieri aveva prospettato una imprescindibile compartecipazione tra scrittura e pittura, affinando gli strumenti di quella “retorica visiva” che pervade tutta la Commedia. Più nello specifico quando, in uno dei celebri passi del Purgatorio, descrivendo i bassorilievi scolpiti nel marmo dalla mano divina ma pensando probabilmente alle rivoluzionarie invenzioni dipinte da Giotto, fa riferimento all’immagine artistica come a un potente e ineffabile “visibile parlare”. O quando, questa volta nel Paradiso, nel contemplare il volto di Beatrice, parla della natura e dell’arte come mezzi che servono a “pigliare occhi, per aver la mente”, ovvero a catturare la vista dello spettatore attraverso la bellezza, ma per condurlo a riflettere e a meditare.
La mostra Dante in arte. Interpretazioni dantesche contemporanee: viaggio grafico nell’oltretomba, attentamente concepita e organizzata dal Comitato della Dante Alighieri di Bolzano, racconta dunque la relazione interessante e in continua evoluzione tra l’opera del Sommo Poeta e le sue svariate trascrizioni figurative. Le circa cinquanta opere della collezione Vicentini esposte al TreviLab offrono un ampio spettro interpretativo delle suggestioni dantesche, rivissute in prima persona dagli artefici della creatività contemporanea. Non si poteva non iniziare da un grande maestro italiano del Novecento come Aligi Sassu, che all’illustrazione della Divina Commedia si applicò lungamente, tra il 1980 e il 1986: “una partecipazione vissuta e coltivata per tante stagioni, che è divenuta specchio della mia anima e del mio lavoro per anni”, come l’artista stesso ebbe a dichiarare. Immedesimazione che, su un altro piano, interessa anche l’irriverente Luigi Ontani, con il suo PavonDante, rievocato in mostra attraverso una foto di Giovanni Umicini scattata in occasione della Biennale di Venezia del 1995: la scultura in ceramica policroma a dimensione reale, che raffigura l’Alighieri in veste di creatura fantastica, ha infatti proprio il volto dell’artista. Ma gli echi danteschi hanno intercettato e appassionato illustri interpreti visivi anche fuori confine, come il designer americano Milton Glaser o il fumettista francese Moebius, ugualmente presenti nel percorso espositivo, che hanno scelto di dedicare una propria versione illustrata, rispettivamente, alle terzine del Purgatorio e del Paradiso.
Le opere in mostra, accompagnate puntualmente dalle citazioni dei versi a cui si sono ispirate, non fanno che dimostrare un’asserzione di fondo: l’assoluta attualità del Sommo Poeta. Dante, in forza del suo immenso capolavoro, continua a parlarci, aiuta a confrontarci con i nostri limiti e le nostre paure, a non rimanere indifferenti, a trovare la nostra “diritta via”. Perché, per citare Vittorio Sermonti, “non c’è bisogno di rendere moderno Dante, Dante è già moderno”.
Alessandro Masi
Segretario generale Società Dante
Alighieri
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